Il disturbo paranoide di personalità è caratterizzato da una diffidenza e sospettosità nei confronti degli altri. In assenza di prove concrete, le persone con questa personalità, interpretano le azioni come malevola. Ne consegue una difficoltà a instaurare e mantenere rapporti interpersonali, e spesso reagiscono con rabbia o risentimento, sperimentando sentimenti spiacevoli perché pervasi da un senso di ingiustizia. La ruminazione è un aspetto caratteristico, secondo cui la persona riflette e pensa alle esperienze passate in cui crede di aver ricevuto un torto dagli altri. Le più piccole mancanze, sono interpretate come segnali di slealtà e come gravi insulti.
Una rilettura della psicopatologia classica, vede il disturbo paranoide di personalità come una rappresentazione fondamentale di sé vulnerabile, comune anche alla schizofrenia e al disturbo delirante persecutorio, in cui l’incapacità a definire un confine tra sé e gli altri, diventa una minaccia all’integrità. Il sé vulnerabile, si sente sottomesso e teme di essere dominato dall’altro, determinando un costante stato di allerta.
Esperienze difficili con le figure di attaccamento (come abusi, trascuratezza, senso di inefficacia) minacciano il senso di sicurezza, contribuendo alla costruzione di un’ immagine cattiva del mondo.
Analizziamo le caratteristiche di tale disturbo, guardando alla visione di sé e degli altri che ha la persona. Sono soggetti che tendono a considerarsi virtuosi, ma allo stesso tempo vulnerabili ai maltrattamenti altrui. Per questo motivo gli altri sono ingannevoli e manipolativi (caratteristiche che appartengono alla persona stessa e che proietta). C’è un costante senso di inaffidabilità e di sfruttamento che gli altri possono esercitare sulla persona. La sospettosità, che è la parola che fa capo a questo disturbo, porta la persona a cercare costantemente segnali che possano rivelare le intenzioni nascoste degli altri, e attaccano preventivamente e difensivamente, chi percepisce come possibile minaccia, creando situazioni di tensione e conflitti.
Le persone con disturbo paranoide di personalità vivono emozioni contrastanti: c’è il bisogno di essere amati, ma l’amore li fa sentire vulnerabili e quindi interpretano i gesti altrui come minacciosi; per esempio un gesto di aiuto può essere percepito come tentativo di controllo e manipolazione da parte degli altri. La proiezione, meccanismo di difesa che consiste nell’attribuire ad altri i propri sentimenti negativi, non permette di riconoscere le proprie tendenze critiche, quindi non è strano che una persona con questo disturbo creda che gli altri siano invidiosi di lei, ma tale invidia è in realtà una propria emozione. Questo meccanismo permette di evitare la consapevolezza delle proprie difficoltà emotive.
Freud (1903) formulò l’idea che alla base del pensiero paranoide vi fosse un’omosessualità latente, e nel tentativo di non affrontare aspetti di sé che trovano insopportabili, la persona proietta nell’altro aspetti propri, come il senso di inferiorità. La paranoia, ed il delirio, consentono all’ Io di sentirsi più sicuro.
Secondo la psicoanalisi il disturbo troverebbe le proprie origini nelle esperienze infantili traumatiche con le figure di accudimento. L’attaccamento è di tipo disorganizzato ed insicuro, per cui le figure genitoriali non sono state “sufficientemente buone” e hanno mostrato atteggiamenti aggressivi, violenti (anche emotivamente), svalutanti ed eccessivamente critici. La figura di attaccamento crea instabilità nel bambino, mostrandosi ora accudente, ora spaventante. La paura dell’abbandono è continuamente presente, ma il bambino che ricerca le attenzioni dal genitore, sa che non potrà riceverle adeguatamente. Da grande quindi con gli altri metterà in scena lo stesso schema: ricerca di attenzioni VS bisogno di distanza e delusione.
La psicoterapia con un paziente con disturbo di personalità paranoide, è molto complessa. La fiducia e l’alleanza terapeutica sono processi che con molta cautela devono essere creati. Non mancheranno attacchi al setting e al terapeuta, che diventa il genitore e il modello interiorizzato secondo la logica del transfert. Il vissuto del terapeuta è spesso contrastante: desiderio di aiutare la persona e farla sentire amata, rabbia per i continui attacchi e senso di instabilità del percorso terapeutico. La stanza di terapia diventa un piccolo cosmo in cui la persona rimette in scena i propri modelli relazionali. Relazioni caratterizzate dalla diffidenza e dal sospetto, interpretando comportamenti benigni come minacciosi. In un setting privato non è strano che il paziente creda che il terapeuta sia lì ad aiutarlo solo per un interesse economico creando in quest’ultimo, frustrazione. La terapia può aiutare a migliorare le abilità relazionali, a partire dalla relazione stessa con il terapeuta che deve proporsi come modello relazionale differente dai genitori, e una relazione fatta di fiducia e di sincerità. I pazienti con tale disturbo sono molto sensibili ad ogni parola, tono di voce e atteggiamento del terapeuta, bisogna quindi lavorare sempre con assoluta trasparenza mantenendo una costante inflessibilità del setting.
“Direi che la mia paranoia è in fase calante. Continuo a credere che la gente mi segua… ma adesso ho l’impressione che lo faccia senza un vero interesse”.
(Woody Allen)
Dott.ssa Cristina Lo Bue