Nella società contemporanea si parla molto di disturbo narcisistico di personalità, sembra che sia il disturbo che interessa molte persone o nel quale in molti si identificano. Ma perché proprio oggi questo disturbo è in maggiore diffusione? È un disturbo del nostro secolo o dipende da altri fattori? Viviamo in una contemporaneità in cui l’essere prestazionale in ogni occasione, in cui l’assenza dell’altro porta a guardare egoisticamente più a sè stessi. Una società in cui l’apparenza vale più del valore. Ma vediamo cosa si intende, in termini psicopatologici, per disturbo narcisistico di personalità.
Prima di chiarire i sintomi, dobbiamo definire cos’è un disturbo di personalità. La personalità è l’ insieme dei tratti della persona, cioè i modi costanti che ognuno utilizza per percepire se stesso e dare un senso all’ambiente circostante. Il disturbo di personalità è un modello costante di esperienza interiore e di comportamento che devia rispetto alla cultura dell’individuo. L’esordio è durante l’adolescenza o la prima età adulta. Quindi, la personalità ci guida nel mondo, interno ed esterno, un disturbo di personalità è un modo costante e spesso patologico di interpretare le relazioni e gli eventi. È anche egosintonico, cioè la persona non percepisce i propri comportamenti e pensieri come disturbanti perché il sintomo è in ‘sintonia’ con l’Io. Per questa sua caratteristica, è più difficile che la persona chieda aiuto a un professionista, proprio perché non riconosce il problema.
Il disturbo narcisistico di personalità si muove lungo un continuum che va da una posizione meno grave a una che compromette la stabilità psichica della persona. A un livello più sano (nevrotico) queste persone possono essere socialmente accettate, anzi sono viste come brillanti e piacevoli. Su un piano più grave (vicino a un livello psicotico) questi soggetti diventano distruttivi, in particolare nella relazione con l’altro.
Il vissuto più presente è il senso di vuoto che queste persone sperimentano. Al contrario di come comunemente si pensa, i soggetti con disturbo narcisistico non sono sicuri di sé, anzi temono terribilmente il giudizio degli altri, e vanno continuamente alla ricerca di approvazione da parte dell’esterno. Spesso per difendersi da questo senso di vuoto e insicurezza, reagiscono con grandiosità, sminuendo e svalutando gli altri e le loro capacità. Quando il mondo non fornisce loro queste conferme di grandiosità, il narcisista può manifestare vissuti depressivi, vergogna e intensa invidia. Anche se siamo abituati a patologizzare qualunque disturbo, è vero anche che non tutti coloro che soffrono di un disturbo narcisistico sono “riconoscibili”.
Questi due autori sono stati due psicoanalisti che con i loro contributi hanno fornito delle importanti riflessioni sul disturbo narcisistico di personalità. Espongono però un modo differente di agire (e sentire) del narcisista. Kernberg descrive un narcisista inconsapevole mentre Kohut un narcisista ipervigile (Gabbard, 1989).
Il primo è quello più “evidente” e a tratti fastidioso: parla senza ascoltare o considerare seriamente l’altro, è arrogante, egocentrico, centrato solo su se stesso, e manifesta un chiaro bisogno di stare al centro dell’attenzione mettendo, senza pudore, in evidenza i propri successi, spesso screditando gli altri.
Il narcisista ipervigile invece è molto sensibile alle reazioni e critiche altrui. È inibito e non vuole stare al centro dell’attenzione. È una persona che vive costantemente dietro le quinte, stando attenta a tutto ciò che le accade intorno e alle reazioni del “pubblico”. È quindi un tipo di soggetto che difficilmente potremmo identificare come narcisista, anzi al contrario, diremmo che è timida. Ma far dipendere il proprio valore dal giudizio altrui è caratteristica tipica del narcisista.
Il modello “ipervigile” è quello che troviamo comunemente descritto sui manuali di psichiatria (DSM), è quindi la versione più insolente e meno tollerabile nelle relazioni. <<Ciò che tutte le persone narcisistiche, in tutte le loro manifestazioni, hanno in comune è un senso interiore e/o terrore di inadeguatezza, vergogna, debolezza, inferiorità>> (Mc Williams, 1999).
La vergogna è il sintomo della profonda e interiore paura di essere imperfetti. È per questo che si difendono dietro la grandiosità: non fanno altro che parlare di (e solamente di) quello che sanno fare o hanno fatto bene, mettendo prima di tutto in evidenza le proprie caratteristiche positive, omettendo, o nascondendo per un’impossibilità di accedervi, quelle negative o che potrebbero mostrare qualche “imperfezione”. Vanno sempre alla ricerca di ciò che potrebbe confermare questo bisogno di ammirazione e quindi cercheranno sempre il medico migliore, la scuola migliore per i propri figli, le persone e relazioni che in quel momento sembrano potrebbero soddisfare il proprio bisogno narcisistico. Spesso passano da una relazione, d’amore o amicale, all’altra perché se inizialmente l’altro è idealizzato e quindi solo le caratteristiche positive e brillanti vengono viste dal narcisista, nel momento in cui i normali e umani difetti iniziano ad emergere, il narcisista scappa in quanto non riesce a tollerare l’imperfezione dell’altro che diventa la propria.
È come se il narcisista si specchiasse nell’altro per vedere la sua immagine riflessa, ma non reale. L’altro è quindi “utilizzato” in modo egoistico per soddisfare il proprio bisogno.
Ma sono davvero così sfrontati i soggetti narcisisti? Quali sono i reali vissuti interiori?
Gli adulti narcisisti sono stati bambini che non sono stati sufficientemente valorizzati per le proprie caratteristiche, e spesso sono stati utilizzati per i bisogni narcisistici del genitore. Il bambino è come un’estensione del genitore, questo infatti non lo accetta per quello che realmente è, con le proprie difficoltà e i propri limiti, ma è un genitore che valorizza, elogia e ammira il bambino quando questo fa delle cose che rappresentano le parti più ammirevoli, mentre lo svaluta nel momento in cui non soddisfa le parti narcisistiche.
Il bambino non può quindi essere amato per quello che realmente è, ma è “costretto” a costruirsi un Falso- Sé (Winnicott, 1965) in quanto non trovando approvazione dei propri bisogni e desideri, il bambino impara via via che per essere amato deve assecondare i bisogni dei genitori. Questa condizione caratterizzerà tutto lo sviluppo del bambino e quindi anche da adulto si comporterà in modo da soddisfare i bisogni degli altri, mettendo da parte i propri, ritenendoli non importanti e privi di valore.
La coppia genitoriale che percepisce i propri figli come estensione di sé piuttosto che individuo separato e quindi differente, ne elogiano solo le caratteristiche positive, non gli insegnano a perdere, a mostrare le propria fragilità e faranno di tutto per “preservarlo” e allontanarlo da possibili fallimenti. In questo modo il bambino impara che delle cose negative e dei propri difetti se ne dovrà vergognare, pena il distacco dall’altro, perché se si è “difettosi” non si può essere amati.
Quanto detto mette in luce una personalità abbastanza fragile, diversa da quella piena e sicura di sé a cui siamo abituati. La persona narcisista quindi soffre, e anche molto! Soffre soprattutto nelle relazioni.
Perché le relazioni con queste persone sono così difficili?
Da questo quadro narcisistico sembra tutto molto tragico e potrebbe dare la sensazione di impossibilità e impotenza di fronte a questo disturbo. Anche la terapia può essere difficile, perché il terapeuta così come tutti coloro che entrano in contatto con il narcisista, sarà idealizzato e svalutato rendendo il lavoro terapeutico a tratti faticoso.
I pazienti di solito chiedono aiuto quando si trovano di fronte a un problema come un fallimento lavorativo o quando i vissuti depressivi diventano intollerabili, difficilmente vengono in terapia per un problema di autostima.
La terapia psicodinamica con questi pazienti avrà lo scopo di renderli consapevoli dei propri comportamenti, senza che questi siano vissuti con vergogna. È importante che il lavoro introspettivo favorisca nella persona la capacità di accettare le proprie fragilità e di integrarle nella propria personalità come parti si sé. Solo dopo avere creato una buona alleanza, il terapeuta potrà iniziare a mettere il paziente di fronte alle sue difficoltà relazioni, cercando di comprendere insieme gli effetti e le conseguenze dei suoi vissuti, come avere delle aspettative eccessivamente alte nei confronti dell’altro. È attraverso l’esplorazione delle relazioni genitoriali durante l’infanzia che questo passaggio verso la consapevolezza di sé sarà possibile.
Dott.ssa Cristina Lo Bue
BIBLIOGRAFIA