Abbiamo già parlato di ipocondria. L’uso, alle volte smisurato, di internet contribuisce ad accrescere il problema in chi già manifesta ansia per la salute. Il facile accesso ad internet ci consente di avere “diagnosi” alla portata di tutti, ma tale diagnosi potrebbe essere errata, perché come ogni cosa, sono necessarie altre informazioni che riguardano la storia clinica della persona. Non ci possiamo affidare solo ai sintomi. Quante volte ci è d’altronde capitato che cercassimo una cosa, un malessere, e davanti allo schermo sentirci ancora più angosciati perché ci troviamo di fronte a scenari di morte? Insomma, come sempre quando l’uso eccessivo o non controllato dei dispositivi ci sfugge di mano, ecco che cadiamo in errore. Le ricerche on line possono essere delle guide, ma non possono sostituire la valutazione medica. In soggetti particolarmente ansiosi, queste informazioni si traducono in angoscia, in pensieri ossessivi per la malattia, spesso gravi, che finiscono per filtrare la relazione con sé, il mondo e la relazione con il proprio corpo, e con la propria mente. Anche nella mia esperienza mi capita spesso di sentire, già dalla prima chiamata, persone che dicono “ho letto un articolo sul disturbo X, credo di averlo” e poi al colloquio tale disturbo non emerge e invece corrisponde ad altro, anche meno grave.
Il termine unisce le parole cyber, interazione tra uomo e web, e ipocondria, un termine ampiamente usato e conosciuto anche dai non specialisti del settore. Sicuramente è una “malattia” del nostro millennio, che i social hanno alimentato. Quante volte sui social ci imbattiamo in video in cui le persone descrivono sintomi sui più svariati disturbi: depressione, autismo, ansia? Capita anche a me di vederli e trovarmi “catturata” da queste persone che parlano di esperienze personali, ma che hanno tutta l’aria di starci comunicando qualcosa, che tutto è universale, e che la “mia esperienza è anche la tua”. Non è così, non lo è nemmeno in psicologia. Le persone che soffrono di ansia non la manifestano tutte allo stesso modo. Certo, ci sono dei “sintomi” che a noi professionisti ci orientano nella diagnosi, ma questi sono sempre espressione di un altro malessere, ed è a questo che dobbiamo guardare, perché significa guardare alla persona. Ma non voglio certamente demonizzare i social, anzi credo siano un importante strumento di aggregazione, di condivisione, possibilità di sentirsi parte, anche, di un malessere. Pensiamo per esempio a quanto importante possa essere per una ragazza o un ragazzo che soffre di DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) vedere video e testimonianze di chi è uscito dall’anoressia o dalla bulimia…può diventare un motivatore, un sostegno per identificarsi in qualcuno che “ce l’ha fatta”. Il problema insorge nel momento in cui si perdono i contatti con la realtà, quando il web diventa un mondo più valido e “accogliente” dello studio di un medico o di uno psicologo.
La cybercondria è la ricerca ossessiva di informazioni sulla malattia che se non affrontata, può essere cronica e invalidante perché colpisce tutti gli ambiti di vita della persona che si sentirà intrappolata nel proprio pensiero incessante, come accade nell’ipocondria.
Però se l’ipocondria è la preoccupazione di avere una malattia grave, che si possa andare incontro a una sofferenza, e in molti casi alla morte, la cybercondria ha a che fare anche con la nostra società, con la nostra epoca, con il bisogno sempre più crescente di raccogliere informazioni, ecco perché un fenomeno ad esso connesso è l’overloading information.
L’overloading information è un sovraccarico cognitivo di informazioni che provengono dal web; è un continuo “saltellare” da un sito ad un altro, da una notizia ad un’altra, da un link ad un altro, per raccogliere maggiori informazioni possibili, non essendo mai pienamente soddisfatti di quello che si trova.
Il nostro cervello non può immagazzinare tante informazioni e così velocemente, quindi, questa gestualità diventa una mera compulsione senza che ci accorgiamo di quello che stiamo effettivamente facendo o cercando. Questo comportamento inoltre ci porta ad una grande difficoltà a prendere decisioni, perché siamo talmente “pieni” che finiamo per non sapere più cosa ci piace, o ci serve, veramente. È come se chiedessimo consigli a diverse persone su come risolvere un nostro problema, come ne usciremmo? Ovviamente confusi, perché ognuno ci darà il proprio punto di vista ed il proprio consiglio, che non combacerà con ciò che noi siamo e desideriamo.
La cybercondria non è inserita nei manuali diagnostici, non è un disturbo che la comunità scientifica ha ancora affrontato in modo sistematico come altri, esempio l’ipocondria, ma sicuramente ci possono essere dei segnali (o sintomi?) che ci orientano:
La cybercondria è la manifestazione di un disagio emotivo, di un passato che si ripresenta, di un mlessere psicologico che richiede il giusto spazio per affrontarlo!
Dott.ssa Cristona Lo Bue