Il bisogno di sentirsi legati a qualcuno, di sentirsi parte della vita dell’altro e che l’altro si prenda cura di noi, è una necessità primordiale, che ha origine fin dalla nascita, quando il bambino, per soddisfare i propri bisogni primari (e non solo), richiede una costante presenza del genitore. Però se questo bisogno permane in maniera patologica possiamo parlare di Disturbo d’Ansia da Separazione (DAS). Con questo disturbo si intende un’eccessiva reazione del piccolo, poi adolescente e poi adulto, alla separazione dal genitore. Il disturbo d’ansia da separazione è il disturbo più diffuso tra i bambini al di sotto dei 12 anni. È normale che il nostro bambino pianga prima di andare a scuola, soprattutto durante le prime esperienze, questo è un fenomeno abbastanza comune, ma se il rifiuto della scuola persiste, si presentano disturbi del sonno o eccessiva angoscia in previsione della separazione dal genitore, possiamo iniziare alla possibilità che nostro figlio non stia vivendo bene l’allontanamento anche se per un breve periodo.
Le teorie dell’attaccamento
Sono le teorie dell’attaccamento che mostrano come il legame tra genitore (più specificamente la madre) e il bambino si costruisce a partire dalla soddisfazione di un bisogno primario di relazionarsi con l’altro. Negli anni ’50 un gruppo di zoologi guidato da Konrad Lorenz, rilevò molti comportamenti tipici della specie animale (in particolare fece delle osservazioni sui cuccioli di anatroccolo) e in particolare elaborò il concetto di imprinting cioè l’apprendimento istintivo di una specie che non deriva dall’esperienza, e quindi l’istinto a “legarsi” a un oggetto fin dalle prime ore dalla nascita. L’ imprinting è quindi un apprendimento precoce all’attaccamento con la una figura di riferimento, in alcuni casi anche a prescindere dal fatto che appartenga o no alla stessa specie. Queste osservazioni di Lorenz influenzarono la teoria dell’attaccamento del medico psicoanalista John Bowlby. Il termine attaccamento indica il bisogno innato di cure, affetti e risultato della “cura” che influenzeranno tutta la vita dell’individuo. Il bambino ha una motivazione innata a stabilire un contatto con la madre e lo fa tramite gli unici canali comunicativi che conosce: il pianto, il sorriso, l’aggrapparsi alla madre. La madre, allo stesso modo, risponderà in modo, quasi, involontario e inconsapevole a questi “richiami” del piccolo. Secondo Bowlby, il legame di attaccamento vero e proprio si stabilisce tra il 6° e l’ 8° mese e nei primi due anni di vita. Dai 18 mesi, il bambino inizia ad anticipare le risposte della madre grazie all’ accrescimento delle funzioni mnestiche e linguistiche e si formano i MOI Modelli Operativi Interni cioè le rappresentazioni mentali che il bambino ha non solo della relazione con la madre e delle sue risposte, ma questa rappresenterà il prototipo delle relazioni future. Bowlby ha utilizzato delle situazioni sperimentali per osservare i bambini nei loro legami di attaccamento, studi che vennero continuati da Mary Ainsworth, in contesti e momenti di gioco in cui si passa da momenti in cui il bambino gioca con la madre a momenti in cui entra un estraneo sostituendosi alla madre, a momenti in cui è solo e infine si ricongiunge con la madre. La Ainsworth descrive tre forme di attaccamento:
Successivamente è stato inserito l’attaccamento disorganizzato, presente soprattutto nei casi di maltrattamento e abusi.
Alla teoria dell’ attaccamento è stato criticato il modello di stabilità dei MOI, ritenendo, ad oggi, che in realtà intercorrono altri fattori protettivi al di là del primo legame con la figura di attaccamento primario.
La caratteristica principale di questo disturbo è l’ eccessiva paura o ansia alla separazione dalle figure di attaccamento. I sintomi evidenti sono:
I bambini con disturbo d’ ansia da separazione, diventano la vera e propria ombra del genitore, a volte anche in casa: richiedono continuamente attenzioni e faticano a giocare da soli o con i coetanei.
In alcuni casi è possibile che il bambino abbia vissuto delle esperienze traumatiche, come per esempio la morte di un genitore o l’allontanamento (non raccontato e spiegato prima) per un lungo periodo, che hanno favorito lo sviluppo del disturbo. Oppure l’ ansia del piccolo viene “trasmessa” dal genitore che è eccessivamente preoccupato della sua separazione e della sua normale crescita rimandandogli, inconsapevolmente, il messaggio che è pericoloso muoversi da solo nel mondo, e che tutto ciò che sta fuori la casa e la famiglia, è estraneo e minaccioso.
Anche la separazione dei genitori può essere un fattore di rischio, ma soprattutto quando questa non viene spiegata nel modo corretto con un linguaggio comprensibile al bambino. Altri fattori di rischio possono essere la presenza di un familiare con disturbo d’ansia o un temperamento del bambino che è tendenzialmente vicino all’ansia. Se non trattato questo disturbo potrebbe favorire in età adulta, lo sviluppo di disturbi correlati quali depressione, disturbo ossessivo-compulsivo o altri disturbi d’ansia quali, ansia generalizzata, fobie, attacchi di panico e fobia sociale.
Come spesso accade di fronte a disturbi e problematiche che presentano i propri figli, i genitori si sentono responsabili di questi, ma come sopra detto, ci sono delle caratteristiche temperamentali con le quali i genitori non possono interferire. Però possono mettere in atto alcune accortezze per evitare che il disturbi si presenti o peggiori se tu figlio mostra i primi segnali.
Prepara un piano per favorire l’avvicinamento e inserimento a scuola del tuo bambino. Potresti per esempio chiedere all’insegnante di affiancarla prima che arrivino gli altri bambini, arriva presto a scuola perché se sarai di fretta, frettolosamente dovrai salutarlo e lasciarlo.
Aiuta tuo figli a dare un nome alle sue emozioni e alle sue ansie e preoccupazioni. È fondamentale che ci sia un’ alfabetizzazione emotiva che parta proprio dalla famiglia e dal contesto in cui il bambino cresce. Alle emozioni negative, proponi invece una lista di emozioni e pensieri positivi.
Anticipa cambiamenti che sai dovranno arrivare per non far trovare tuo figlio impreparato all’evento (esempio un viaggio o un tuo allontanamento momentaneo).
Aiutalo nelle fasi del sonno rimanendo un po’ con lui e rassicurandolo prima dell’addormentamento, per esempio leggendo o raccontando delle storie.
Favorisci e incoraggialo nei suoi successi.
Non essere tu il primo ansioso per la crescita di tuo figlio!
Nel caso in cui queste attenzioni non dovessero bastare e noti dei comportamenti di ansia eccessiva in tuo figlio, è bene iniziare a pensare alla possibilità di un intervento esterno di uno specialista dell’ infanzia. Il trattamento prevede un coinvolgimento totale del bambino e soprattutto della famiglia, perché l’ obiettivo sarà quello di sviluppare un senso di sicurezza e fiducia nel ritorno dei genitori e fiducia anche dell’ estraneo. In questi casi, quindi, la terapia familiare risulta essere il trattamento più efficace che attraverso un coinvolgimento di tutto il sistema familiare (fratelli e sorelle compresi) si possono apprendere nuovi modi di interagire con il bambino e strategie utili per diminuire l’ansia.
Anche la terapia attraverso il gioco (play therapy) può essere un valido strumento per collegare pensieri ed emozioni negativi e affrontarli efficacemente.
Dott.ssa Cristina Lo Bue
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