Il termine anoressia si riferisce a situazioni di restrizione alimentare volutamente messe in atto dalla persona che portano a mantenere il proprio peso corporeo a valori di molto inferiori rispetto a quelli ritenuti normali. Nonostante il dimagrimento estremamente evidente chi soffre di anoressia è costantemente preoccupato per il proprio peso e aspetto corporeo.
Se non diagnosticata e curata per tempo, la malattia può portare a stati di malnutrizione così estremi da risultare pericolosi per la vita e da richiedere anche il ricovero ospedaliero con alimentazione forzata.
L’anoressia nervosa è stata inserita nel DSM 5 (2013) nella più ampia categoria diagnostica chiamata Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.
La caratteristica principale di questo disturbo è il rifiuto del cibo. La persona che soffre di anoressia non rifiuta però il cibo per mancanza di appetito ma lo rifiuta per il terrore di ingrassare: la perdita di peso viene infatti considerata come un successo e una dimostrazione di una rigida autodisciplina, mentre l’aumento di peso viene vissuto come qualcosa di inaccettabile, come una perdita della propria capacità di controllo… tutto questo con ovvie ricadute negative sull’autostima.
Una persona è diagnosticabile come anoressica se manifesta le seguenti caratteristiche:
Vengono inoltre, identificate due tipologie di anoressia nervosa:
Rispetto alla precedente classificazione diagnostica, nell’attuale manuale è stato eliminato il criterio dell’amenorrea, ossia dell’assenza di ciclo mestruale che non risulta dunque più necessario per formulare la diagnosi di anoressia.
Sebbene alcuni soggetti anoressici possano rendersi conto della propria magrezza, tipicamente negano le gravi conseguenze sul piano della salute fisica.
Segni e sintomi dell’anoressia connessi all’estrema malnutrizione sono:
Nella maggioranza dei casi l’anoressia insorge nell’adolescenza, un’età estremamente delicata in cui la persona si trova a dover fronteggiare tantissimi cambiamenti; il disturbo può però anche presentarsi più precocemente (già nell’infanzia) oppure anche dopo i 40 anni. Il disturbo colpisce maggiormente ragazze e giovani donne, anche se negli ultimi anni, la diffusione della malattia è in aumento anche tra il sesso maschile (rapporto maschi : femmine = 1 : 10). La diffusione dell’anoressia inoltre sembra essere maggiore nei paesi industrializzati dove vi è più abbondanza di cibo e in cui è enfatizzato il valore della magrezza.
L’evoluzione e gli esiti dell’anoressia nervosa sono estremamente variabili. In alcuni casi, ad un episodio di anoressia fa seguito una completa remissione. In altri casi, invece, le fasi di remissione con recupero del peso corporeo si alternano a fasi di riacutizzazione. In altri casi ancora si assiste a un’evoluzione cronica, con un progressivo deterioramento nel corso degli anni. Data questa estrema variabilità può anche rendersi necessario il ricovero ospedaliero per il ripristino del peso corporeo o la correzione degli squilibri elettrolitici; tra i soggetti ricoverati, purtroppo, la mortalità è maggiore del 10%.
Il principale fattore di mantenimento del disturbo è l’eccessiva valutazione (forse sarebbe meglio dire sopravvalutazione) del peso, della forma del proprio corpo e del loro controllo. Oltre a ciò anche una dieta rigida rappresenta un potente fattore di mantenimento per il nucleo psicopatologico perché produce un sintomo, il basso peso corporeo che, a sua volta, causa la sindrome da malnutrizione. Anche frequenti controlli del corpo e del proprio peso fungono da fattori di mantenimento. Essi infatti aumentano le preoccupazioni per le minime variazioni percepite o registrate ed incoraggiano la dieta ferrea…Insomma, si cade proprio in un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
L’ingresso nell’anoressia nervosa passa, quasi sempre, dall’inizio di una dieta o comunque sia da un tentativo volontario di perdita di peso finalizzato a raggiungere quell’ideale di bellezza femminile tanto osannato dalla società moderna. Ad oggi le cause del disturbo dell’alimentazione non sono note, sebbene si possano identificare dei fattori di rischio individuali:
L’approccio psicoanalitico guarda con particolare interesse alle esperienze infantili ed alle fasi psicosessuali e conflitti irrisolti. Secondo questo approccio, l’anoressia sarebbe l’espressione di un conflitto inconscio che determina un insieme di problematiche relative al sé.
La cura dell’anoressia andrebbe condotta idealmente a livello ambulatoriale. Questa condizione non sempre è però possibile ed è indicata solo per le pazienti con alcune caratteristiche:
In caso contrario, potrebbe essere opportuno un intervento ospedaliero specializzato.
Tutti i trattamenti di comprovata efficacia per l’anoressia nervosa sono di natura psicologica.
Gli studi farmacologici sono ad oggi scarsi e non dimostrano un benefico effetto dei farmaci sul disturbo. L‘approccio più ragionevole è quello di non utilizzare alcun farmaco nella fase acuta di perdita di peso perché spesso i sintomi depressivi e ossessivi-compulsivi si riducono con l’aumento ponderale.Se, tuttavia, dopo il raggiungimento di un adeguato peso corporeo, la depressione permane, può essere utile l’uso di antidepressivi.Occasionalmente si possono utilizzare degli ansiolitici, le benzodiazepine, assunti prima dei pasti: la loro utilità sembra però limitata. L’uso degli antipsicotici è riservato solo alle pazienti più difficili e refrattarie.
Dott.ssa Cristina Lo Bue