Come scrisse il filosofo greco Aristotele (IV secolo a.C.) “l’uomo è un animale sociale” ed è quindi naturale che tenda a relazionarsi con l’Altro. Il problema si presenta quando una persona fa di questo bisogno naturale, un bisogno necessario e imprescindibile per stare bene, traducendolo in paura della perdita, della solitudine e dell’abbandono. In questo caso parliamo di dipendenza affettiva. La maggior parte delle persone che stabiliscono le loro relazioni sulla base di una dipendenza, non ne sono consapevoli, e possono manifestare disturbi ad essa correlati quali ansia, depressione, disturbi psicosomatici, che si presentano prevalentemente quando il partner è assente.
Se siamo animali sociali, qual è la linea di demarcazione tra una sana relazione e una dipendenza affettiva?
Il contatto con gli altri è necessario per il nostro sviluppo. I bambini hanno bisogno che qualcuno si prenda cura di loro, e il cucciolo d’uomo è quello che, rispetto alle altre specie animali, rimane più a lungo con i propri genitori. Al bisogno iniziale del bambino di essere accudito, di ricevere cibo e affetto, crescendo si aggiunge quello relazionale, ed è quindi necessario avere un piccolo gruppo con il quale confrontarsi: parenti, amici, partner.
È soprattutto nella relazione con quest’ultimo che si può sviluppare la dipendenza affettiva che non è più una forma di supporto, ma si configura come ostacolo alla salute della coppia.
La dipendenza affettiva si presenta con alcuni segnali. Analizziamoli.
Le persone emotivamente dipendenti hanno una bassa autostima e pensano a sè stesse in modo esclusivamente negativo: trovano poca o nessuna soddisfazione in quello che fanno e nelle proprie capacità. Una bassa autostima porta a un maggiore bisogno di sostegno e affetto, in quanto, avendo un’immagine di sé negativa e di persona incapace, il dipendente penserà che solo attraverso l’Altro riuscirà a farcela e a superare le difficoltà.
L’autostima si sviluppa durante l’ infanzia e non dare al bambino il giusto spazio per esprimere se stesso e i propri desideri, significa non riconoscere le sue potenzialità. Se il bambino si sentirà criticato perché il genitore gli rimanda solo le cose negative di quello che fa, maturerà l’idea che è solo attraverso l’aiuto dell’Altro che potrà affrontare gli eventi di vita e risolvere i problemi. Il bambino in questi casi non è amato in modo appropriato dalle persone che sono più significative per lui (i genitori) e questa mancanza di riconoscimento genera bassa autostima. È un “ricatto” emotivo che insegna al bambino che sarà amato solo dopo aver soddisfatto le aspettative dei genitori o di altre persone significative. Qualsiasi tentativo di affermare se stesso o mostrare la propria individualità sarà punito.
Da adulto, il dipendente affettivo tenderà a ricreare situazioni in cui sarà sottomesso, cercando di compiacere gli altri al fine di mantenere il vincolo della relazione a tutti i costi, evitando così il rifiuto e l’abbandono. La mancanza di autostima nell’infanzia è quindi una delle cause più importanti della dipendenza affettiva.
Il dipendente affettivo accetta il disprezzo e l’abuso come qualcosa di normale, sentendosi attratto da chi mostra una certa sicurezza e da chi ha una personalità dominante. È per questo che spesso le donne con dipendenza affettiva tendono ad innamorarsi di uomini violenti e aggressivi.
Manipolazione, mancanza di rispetto, esagerata gelosia e possesso, sono le pericolose conseguenze della dipendenza affettiva dentro la coppia. Purtroppo dietro alcune storie di femminicidi e violenza sulle donne, si nasconde una dipendenza affettiva in cui tra i due partner c’è un rapporto di co-dipendenza, intesa come una relazione in cui c’è una persona che si prende eccessivamente cura dell’altra, la quale, a sua volta, è centrata su se stessa. In molti casi queste donne dipendenti si innamorano di uomini problematici (in alcuni casi con personalità borderline o antisociale) in cui c’è il desiderio/tentativo di salvarli e cambiarli assolvendo il ruolo della “crocerossina”. Sono donne che preferiscono la sottomissione all’angoscia della solitudine.
“Quando essere innamorate significa soffrire tutto il tempo,stiamo amando troppo.
Quando giustifichiamo tutti i malumori,il cattivo carattere,l’indifferenza o li consideriamo conseguenze di un passato difficile e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo.
Quando leggiamo un saggio di psicanalisi e sottolineiamo tutti i passaggi che potrebbero aiutare lui,stiamo amando troppo.
Quando siamo offesi dal suo comportamento ma pensiamo che sia colpa nostra perchè non siamo abbastanza attraenti, stiamo amando troppo.
Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo e la nostra salute, stiamo amando troppo.
Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo”
“Donne che amano troppo”
R. Norwood
In questo amore patologico la persona dipendente si sentirà costantemente in obbligo di attirare l’attenzione del partner, attraverso eccessive richieste di conforto e vicinanza fisica oltre che emotiva. È come se queste persone iniziassero a perdere la propria identità pur di non perdere l’altra persona e vivere l’abbandono.
La prima cosa da fare è riconoscere che la propria relazione è disfunzionale e asimmetrica, nella quale dai molto più di quanto ricevi. Forse perché hai paura di rimanere da solo? Forse perché credi che da solo non potrai farcela? Rifletti su cosa significa per te questa relazione, se ti annula (o ti annulli).
Trova degli spazi in cui puoi essere te stesso senza il tuo partner. Potresti per esempio andare da solo in palestra, a correre, iscriverti in qualche associazione o in uno dei moltissimi corsi esistenti per poter dare sfogo alle tue passioni. O puoi semplicemente organizzare delle uscite con gli amici.
Stai attento ai tuoi pensieri negativi, quali la paura, la gelosia, il timore di essere tradito. Parlarne li svestirà della loro pesantezza.
Cerca l’ aiuto di un professionista se non riesci a trovare un modo per cambiare e se non riesci a trasformare la solitudine in potenzialità.
La solitudine è la più grande opportunità per esplorare se stessi, per capire cosa ci piace e cosa no; ci dona la possibilità di ri-sperimentarci in cose che non credevamo di essere capaci, e quando le facciamo ci regalano un senso di benessere, di soddisfazione e di autoefficacia che difficilmente si può sperimentare quando fatte in coppia.
Dott.ssa Cristina Lo Bue